Questo commento mi ha colpito in particolar modo, lo rilancio per riaprire un interessantissimo dibattito.
Ci pensavo, no, e mi veniva da pensare che "cultura" ha un campo semantico ormai dilatatissimo: voglio dire, scrivendo, pronunciando o pensando questa parola abbiamo svariati sinonimi da attribuirle. Tutti sbagliati. Ovvero, tutti giusti, laddove se la cultura si fa sottile è autorizzato il suo utilizzo -nominale- pretestuoso e divulgato.
Dunque, Orbetello. Cultura è perlopiù sinonimo di archeologia. Etruscologia, sienofilia, ispanografia, qualche saraceno e molti presidios, storia locale (anche qui il senso è dilatatissimo). Le origini, insomma. E il prodotto, che siamo noi: un vuoto di memoria che svuota il centro e lo riempie di adulatori del relax. Qualora l'archologia venisse a mancare, ecco, c'è pronta la biologia. Altro vago e licenzioso sinonimo di culutra. E allora alghe, pesci, meraviglie naturali (dimenticavo: la cultura è anche etologia!), uccelli e quant'altro.
Tutto questo, per quanto apprezzabile (e in scarsa misura apprezzato), lo trovo stantìo. Puzza. Sempre a frugarci nei calzini, sempre a rovistare in qualche meandro di memoria per ricnasare scordando il presente maciullato della cultura orbetellana. Che potrebbe essere, a fare gli illusi e immaginifici, anche altro da etruschi e pesci (che peraltro io ammiro e rispetto, nessuno mi fraintenda).
Allora, il presentare proposte al comune, tutto sommato di stampo culturale, nel senso, perdonatemi, stantìo della parola, non è entusiasmante. Magari imparare a essere, indipenentemente dall'amministrazione, culturali in un senso più ampio, quello sì, potrebbe essere un punto di partenza. Però è pericoloso. Allora il dilemma è: esiste una mediazione?
Bo.
Uno che non si vuol firmare